L'articolo recensisce, con toni fortemente critici la mostra di Giacomo Manzù allestita a Palazzo Reale. "Io credo - scrive Spartaco Balestrieri - (...) che lasciando da parte il "genio", come dice Lionello Venturi nella prefazione del catalogo, il Manzù sia "creatore di forme espressive, capace di trovare una coincidenza tra la cultura plastica moderna, anzi attuale, e un modo di sentire schietto, pervaso di bontà di simpatia umana, d'amore, radicato nella tradizione cristiana". Non però perché lo scultore si sia proposto una tale storica soluzione del problema estetico moderno. Egli riprende semplicemente Medardo Rosso fuso talvolta con il Bazzaro e il Gemito, facendo consistere in questa fusione lo sviluppo di "qualità plastiche e monumentali sue proprie". Le sue opere sono insufflate, è vero, della "vena fresca e popolare del sentimento", che però percorreva e ravvivava le forme anche dei maestri, consapevolmente od inconsapevolmente presi a modello. Sicché il Manzù non è l'artista che, secondo il Venturi, avrebbe "esaudito le esigenze del gusto formale di oggi" offrendo "della scultura attuale con la sua pietà, la sua bontà, la sua grazia", ma è quegli che ha ripreso con fortuna quei moderni modelli dell'ultimo ottocento. (...) L'amore poi che traspare dalle sue opere è più per l'effetto sensorio della forma morbosamente accarezzata che neanche per una vera sostanza spirituale; la grazia delle sue testine è un po' manierata e quasi leziosa; la bontà un po' appariscente; la pietà un po' bigotta, di fittizio pudore quando...si veste di taluni nudi religiosi che aspirerebbero al crudo verismo e finiscono per rasentare il grottesco, senza raggiungere in sè una convinzione estetica e mistica né suscitarla nel contemplatore".