Ugo Ojetti
- Livello
- fondo
- Data
- 1880 - 1955
- Descrizione fisica
- circa 6265 fascicoli condizionati in 196 cartelle
- Soggetto conservatore
- Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea
- Soggetto produttore
- Ojetti Ugo
- Storia istituzionale
- Nato nel 1871 nella Roma da poco proclamata capitale del Regno d'Italia, Ugo Ojetti era figlio di un architetto e restauratore molto noto all'epoca, Raffaello. Cresciuto in ambiente cattolico e formatosi alla Scuola dei Gesuiti, Ojetti intraprese inizialmente gli studi giuridici, laureandosi in legge nel 1892 e concentrando i suoi sforzi nella carriera diplomatica. Abbandonando però ben presto le ambizioni in tal direzione, cominciò a dedicarsi alle sue due grandi passioni: la letteratura e il giornalismo. Già nel 1892 pubblicava la sua prima raccolta di poesie (Paesaggi) e l'anno successivo esordiva come narratore col romanzo Senza Dio. Contemporaneamente iniziò a collaborare con giornali e riviste come la "Nuova Rassegna", la "Tribuna", "Il Giornale", l'"Avanti", "Il Resto del Carlino", "Il Marzocco", "Emporium", "L'Illustrazione Italiana", dove dal 1904 al 1908 scriverà cronache settimanali con lo pseudonimo di "conte Ottavio", approdando nel 1898 al "Corriere della Sera", di cui diverrà una delle firme più prestigiose per quasi cinquant'anni, fino alla morte avvenuta nel gennaio del 1946. Ojetti fece subito parlare di sé, agli esordi della carriera giornalistica, con un'iniziativa che animerà il dibattito culturale italiano per molti anni: un reportage letterario, pubblicato nel 1895 col titolo Alla scoperta dei letterati, condotto percorrendo l'Italia da Nord a Sud e intervistando i maggiori scrittori dell'epoca, Pascoli, Carducci, Fogazzaro, Verga, Capuana e molti altri, ma soprattutto D'Annunzio, per cui Ojetti provava un'immensa ammirazione, pur prendendo le distanze dai rischi retorici del dannunzianesimo. Questo primo periodo di impegno giornalistico s'intreccia con gli anni della militanza politica di Ojetti tra le fila di un gruppo autonomo socialista in Umbria, terra d'origine della madre Veronica Carosi, che lo porteranno a partecipare alla fondazione del primo periodico socialista della regione, "La giovane Umbria". Gli anni tra la fine del secolo e i primi del Novecento sono caratterizzati dall'intenso lavoro come inviato prima dall'Egitto, poi dagli Stati Uniti, da cui invia, oltre ai bollettini sul conflitto ispano-americano, anche delle analisi lucide della società e dei costumi americani, messi a confronto con la mentalità europea, poi raccolte in un fortunato volume intitolato L'America vittoriosa (1899), e in seguito anche dalla Norvegia, dalla Francia, dall'Albania e dall'Asia. Parallelamente esordisce nel campo della critica d'arte con la pubblicazione nel 1897 del volume L'arte moderna a Venezia, che raccoglieva un ciclo di articoli apparsi su "Il Resto del Carlino" e con cui ottenne il secondo posto al premio per la critica della seconda Biennale veneziana. Profondamente influenzato dalla cultura francese, dal positivismo di Hippolyte Taine alla critica sociologica di Jean- Marie Guyau, Ojetti riteneva che l'opera d'arte fosse la più importante manifestazione dell'individuo nella storia, pertanto un'arte veramente moderna avrebbe dovuto, a suo avviso, saper rappresentare l'essenza dell'anima umana ed essere in grado di comunicarla a tutti. Convinto assertore di una critica capace di rivelare l'anima degli artisti e non solo le caratteristiche tecniche e stilistiche delle opere, Ojetti pochi anni dopo pubblicò un testo programmatico che doveva definire i Diritti e doveri del critico d'arte moderna (1901). Ugo Ojetti da "cronista", come egli stesso amava definirsi, si occupava di arte, cultura, viaggi o politica, ritenendo prioritario scrivere per i lettori, non solo per gli studiosi e gli addetti ai lavori. Fra i doveri di questa nuova figura di critico d'arte rientravano inoltre la valorizzazione delle arti applicate e lo studio dell'arte contemporanea, da ricollegare però sempre a quella antica, avendo come fine ultimo quello di "difendere e diffondere l'arte". Nel corso dei primi anni del Novecento la partecipazione alla vita pubblica di Ojetti si fa sempre più consistente: per la competenza e il prestigio acquisiti in campo storico-artistico diventa membro della Commissione Centrale per i Monumenti e per le Opere di Antichità (1905); successivamente Consigliere effettivo del Consiglio Superiore di Antichità e Belle Arti (1912); 'conservatore militare' per la tutela dei monumenti durante la Grande Guerra; membro della commissione incaricata dal Ministero della Pubblica Istruzione della riforma dell'insegnamento artistico (1920); direttore insieme a Pietro Toesca, della sezione "arte" dell'Istituto per l'Enciclopedia italiana e poi membro del Consiglio direttivo fino al 1933, fino ad ottenere, nell'ottobre del 1930, la nomina ad Accademico d'Italia. Nel frattempo continua a viaggiare, collabora con importanti riviste, tiene conferenze e pubblica il primo lavoro teatrale, Un garofano (1905), messo in scena da Ettore Petrolini. L'evento più importante di questi anni riguarda però la vita privata: nel 1905 sposa Fernanda Gobba, figlia di un ricco ingegnere ferroviario piemontese; insieme decidono di stabilirsi a Firenze, in un primo tempo in una casa in via dei Della Robbia, successivamente, a partire dal 1913, in una splendida villa rinascimentale sui colli fiesolani, il Salviatino, fatta restaurare dallo stesso Ojetti e divenuta in poco tempo un crocevia d'incontri di scrittori, artisti, intellettuali e politici provenienti da ogni parte del mondo. Nella sua dimora toscana, Ojetti collocò le opere della sua pregevole collezione, arricchitasi nel corso degli anni e andata dispersa dopo la sua morte; essa comprendeva opere di scultura, pittura e arti applicate, spaziando dall'antico al contemporaneo, da Jacopo della Quercia ad Andreotti, da Poussin a Spadini, passando per Fattori, Lega, Gemito, Pellizza, per giungere ad artisti tanto amati come Bourdelle, Ghiglia, Casorati. Dall'unione con Fernanda Gobba nacque nel 1911 l'unica adorata figlia, Paola, che poi avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel mantenere vivo, negli anni dell'oblio dell'attività ojettiana, il ricordo del padre. Il 1911 fu un anno non solo di gioie familiari, ma anche di successi professionali: l'organizzazione della Mostra del Ritratto in Palazzo Vecchio a Firenze , in occasione del cinquantenario dell'Unità di'Italia, e la pubblicazione della prima serie dei Ritratti d'artisti italiani, uno dei suoi libri di maggior fortuna. Il successo ottenuto con la Mostra del Ritratto, che era riuscita a riportare l'attenzione della critica e del pubblico su periodi allora trascurati della storia dell'arte italiana, indusse Ojetti negli anni successivi a formulare un programma di mostre biennali d'arte antica, che avrebbe dovuto portare Firenze a rivaleggiare con Venezia, non sul piano però della promozione dell'arte contemporanea, ma nella rivalutazione dell'arte antica; questo programma ambizioso, solo parzialmente realizzato, gli consentì tuttavia di affermarsi anche come ineguagliabile organizzatore di mostre, che curava nei minimi dettagli, dagli studi preparatori all'allestimento, dai problemi assicurativi al trasporto delle opere, cercando in tal modo di garantirne il pieno successo. Nacquero così esposizioni come la Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento (Firenze 1922), considerata dalla critica una delle esposizioni di antichi maestri più importanti dell'intero ventesimo secolo, la Mostra della pittura Italiana dell'800 alla XVI Biennale di Venezia (1928); la Mostra del Giardino Italiano( Firenze 1931); l'ormai leggendaria Mostra Giottesca (Firenze 1937). Ojetti cercò poi di esportare il suo modello espositivo all'estero, riscuotendo un enorme successo: figurava infatti tra i membri dei comitati organizzatori di mostre come l'Exhibition of Italian Art ( 1200-1900), presentata alla Royal Academy di Londra nel 1930, e l'Exposition de l'Art Italien de Cimabue à Tiepolo, allestita a Parigi nel 1935, entrambe accompagnate da recensioni entusiastiche in tutta Europa. Dopo aver sostenuto la campagna interventista a fianco di D'Annunzio, nel 1915 Ojetti si arruolò volontario col grado di sottotenente e gli venne subito affidato l'incarico di tutelare i monumenti, compito che assolverà con estrema dedizione e di cui rimane testimonianza nel discorso pronunciato a Firenze nel 1917 per inaugurare una mostra di fotografie di guerra (Il martirio dei monumenti), oltre che nel volume I monumenti italiani e la guerra (1917). Molto interessanti per la ricostruzione delle vicende umane, oltre che del contesto storico, sono le Lettere alla moglie (1915-1919), pubblicate postume (1964) dalla moglie Fernanda. Dopo la fine della Grande Guerra si colloca una delle imprese più riuscite dell'attività ojettiana: nel giugno del 1920 esce il primo numero di "Dedalo", destinata a diventare una delle riviste d'arte più prestigiose della prima metà del Novecento. Ma nel 1933 alcuni contrasti con l'editore Treves portarono all'improvvisa cessazione delle pubblicazioni non solo di "Dedalo" ma anche di "Pegaso", mensile che Ojetti aveva fondato nel 1929. Nello stesso anno, instaurata una collaborazione con Rizzoli, Ojetti fondò una nuova rivista, "Pan", rassegna di lettere, musica e arte; le pubblicazione però durarono solo fino al 1935. Dal sodalizio con Rizzoli nacque nel 1934 un'altra impresa editoriale di Ojetti, che ideò e diresse la celebre collana de I classici, destinata ad avere un ampio e duraturo successo di pubblico. Nel 1922, alla vigilia della marcia su Roma, esce il romanzo più famoso di Ojetti: Mio figlio ferroviere, un testo che può essere considerato di satira politica, con cui l'autore rimarcava una decadenza di valori e di ideali in un'Italia uscita vittoriosa dal primo conflitto mondiale, ma presto piombata in una grave crisi politica, economica, e sociale sfociata nell'avvento del Fascismo, che Ojetti, pur condannandone la violenza e la retorica, finirà per accettare, quasi come una conseguenza inevitabile delle tensioni sociali, del dissesto economico e del disfacimento del sistema politico italiano. L'anno successivo pubblica il primo volume delle Cose viste, dal titolo dell'omonima rubrica tenuta sul "Corriere delle Sera" con lo pseudonimo di Tantalo, il libro che lo consacrerà definitivamente nel gotha del giornalismo letterario italiano: si tratta di ritratti, ricordi, descrizioni, commenti, interpretazioni. Nel momento di massima fama e prestigio, culminato nel '24 con la nomina a senatore, carica rifiutata per solidarietà con l'amico poeta Salvatore Di Giacomo al quale era stata negata per motivi di censo, considerato ormai 'il principe dei giornalisti italiani', nel marzo del 1926 Ugo Ojetti assunse la direzione del quotidiano milanese: succedeva a Luigi Albertini, storico direttore del "Corriere ", insofferente al processo di fascistizzazione della stampa italiana. Ojetti fu un direttore sui generi, interessato più alla valorizzazione della terza pagina che alla prima, ma la sua finale adesione al fascismo non fu sufficientemente convinta da assicurargli una duratura permanenza alla guida del giornale di via Solferino, da cui fu allontanato nel dicembre del 1927. Dopo la revoca dalla carica di direttore, Ojetti non abbandonò il "Corriere", ma tornò a svolgere il suo ruolo di collaboratore, curando, quasi sino alla fine della sua vita, la pagina culturale del giornale che gli aveva dato notorietà. Fra tutte le numerose collaborazioni di Ojetti con quotidiani e riviste quella col "Corriere" è stata sicuramente la più ricca e stabile; Ojetti curò rubriche entrate ormai nella storia del giornalismo italiano: Cose viste, Capricci, Cronache d'arte, Cronache femminili, Domande, Libri d'arte, Ritratti d'artista, spesso diventate altrettanti libri di successo: Ritratti di artisti italiani (1911, 1923), I nani tra le colonne (1920), Raffaello e altre leggi ( 1921), Bello e brutto (1930), Ottocento, Novecento e via dicendo (1936), In Italia, l'arte ha da essere italiana? (1942). Nel gennaio del 1946, dopo aver subito nel '44 l'onta, da cronista infaticabile, della cancellazione dall'albo dei giornalisti, Ugo Ojetti moriva nella sua villa del Salviatino, e il "Corriere della Sera" ne dava notizia con un breve trafiletto in ultima pagina: era cominciato un lungo silenzio critico, destinato a durare fin quasi ai giorni nostri, su una figura cruciale di quegli anni, che per vastità di interessi e relazioni, le considerevoli doti di organizzatore e divulgatore, l'ampio orizzonte culturale e l'indiscutibile ruolo avuto nelle istituzioni pubbliche italiane, ne fanno uno dei protagonisti della vita del nostro Paese nella prima metà del Novecento.
- Storia archivistica
- L'archivio è stato acquisito dalla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea il 15 dicembre 1973 ed inventariato con numero 32380/da 1 a 35187 (tale è il numero dichiarato dei documenti costituenti il carteggio) per il valore di Lire 5.000.000. Fino ad allora la corrispondenza dell'illustre studioso era stata custodita dalla moglie Fernanda e poi dalla figlia Paola. Quest'ultima, dopo aver donato alla Biblioteca nazionale di Firenze tutte le lettere scritte da Ugo Ojetti alla moglie tra il 1905 e il 1940 e aver restituito molti manoscritti ai rispettivi autori, ha provveduto ad un parziale riordinamento dei vari carteggi. L'importanza e il valore di questa documentazione ha fatto sì che la Soprintendenza archivistica della Toscana notificasse l'intero complesso. Il 9 marzo 1971, infatti, è stato dichiarato che i carteggi e i documenti di Ojetti "...sono di notevole interesse storico e pertanto sottoposti alla disciplina prevista dagli art..36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43 del dpr 30 settembre 1963, n.10469, per i seguenti motivi: per le notizie di rilevante importanza sull'attività di un eminente giornalista e scrittore...".
- Contenuto
- Le carte del fondo Ojetti sono divise in due sezioni: la prima costituita da autografi di artisti, collezionisti e scrittori d'arte, per la maggior parte italiani, la seconda di varie personalità del mondo culturale e politico italiano, di scrittori italiani e stranieri che attestano le varie relazioni intrattenute da Ojetti per più di un trentennio. Una particolare importanza riveste la raccolta di alcuni autografi di artisti della cultura neoclassica italiana: lettere di Appiani, Bartolini, Bezzuoli, Bossi, Camuccini; ma soprattutto agli artisti del secondo Ottocento, a cui per l'appunto dedicherà in gran parte i suoi saggi critici, è riservata una raccolta più scrupolosa e metodica: da Cremona a Delleani, a Ciardi, a De Nittis, al gruppo dei divisionisti (Segantini, Pellizza, Morbelli, Previati, Grubicy). Questi autografi, insieme a quelli dei macchiaioli, costituiscono una documentazione di importanza eccezionale (Abbati, Cabianca, Cecioni, Fattori, Signorini, Lega ecc.). Altri gruppi consistenti di lettere riguardano la cultura figurativa italiana fra la fine e gli inizi del secolo e sono una preziosa fonte per ricostruire dibattiti e polemiche di quegli anni (Bistolfi, E. Ferrari, Trentacoste, Sartorio ecc.). Altre corrispondenze di estremo interesse riguardano i rapporti con artisti-protagonisti del Novecento italiano (Broglio, Bucci, Carena, Casorati, Conti, Dottori, Dudreville, Savinio, Sironi, solo per citarne alcuni). Oltre alla corrispondenza con artisti, critici da'arte e collezionisti italiani, è presente una preziosa quanto rara documentazione riguardante i contatti con personalità emergenti della cultura francese e di altri paesi, artisti e critici. Contatti intercorsi soprattutto durante i lunghi soggiorni di Ojetti a Parigi nell'ultimo decennio del secolo e nel corso degli anni mantenuti vivi da un fitto scambio di lettere, specialmente in coincidenza con la preparazione di mostre in Italia, in particolare delle esposizioni internazionali a Venezia. Vi figurano, fra gli altri, i nomi dei pittori Emile Claus, Charles Cottet, Henry de Groux, Gaston Latouche, John Lavery, Elia Repin, Zuloaga, e di prestigiosi storici dell'arte, quali Bernard Berenson, Wilhem Boole, Henry Focillon, Robert de La Sizéranne, Camille Mauclair, Roger Marx. Forse di ancora maggior interesse per gli storici sono altre lettere di studiosi e critici d'arte italiani, allora dominanti per direzionare il gusto e sostenere le scelte per la partecipazione degli artisti alle grandi rassegne nazionali e internazionali in Italia, da Venezia a Milano, a Roma: Antonio Fradeletto, Vittorio Pica, Nino Barbantini, Camillo Boito, EnricoThovez, fino a Pietro Toesca, Adolfo e Lionello Venturi.
Un altro settore di lettere potrà essere una nuova fonte per la storia dell'architettura italiana negli anni fra le due guerre, figurandovi i nomi di architetti, da Basile, Luca Beltrami, Cesare Bazzani, Adolfo Coppedè, a Marcello Piacentini, Giovanni Michelucci, Gio Ponti.
Infine nella seconda sezione dei letterati e politici, anche più ampia della prima, troviamo corrispondenze con altrettanti uomini illustri dell'epoca. Lettere di scrittori come Giovanni Verga, Benedetto Croce, Cesare Pavese, Eugenio Montale, Luigi Pirandello, Tomaso Monicelli, Indro Montanelli, il vasto carteggio con la scrittrice e poetessa Ada Negri, con Matilde Serao, Sibilla Aleramo e Grazia Deledda. Indubbiamente interessante è anche la corrispondenza con i giornalisti, come il cospicuo carteggio con Alberto Albertini, condirettore del Corriere della Sera, insieme al fratello Luigi, dal 1921 fino al 1925, quando, per incompatibilità con le direttive del fascismo, fu costretto alle dimissioni, quello altrettanto copioso con lo scrittore e critico letterario Pietro Pancrazi, con cui ebbe un vero e proprio sodalizio, legato oltre che al Corriere della Sera, anche alla rivista Pegaso, quello con il critico Lucio D'Ambra e quello con l'editore e commerciante d'arte Angelo Sommaruga. Notevole anche il carteggio con il poeta e drammaturgo Salvatore di Giacomo, di cui si conserva anche un bellissimo album di fotografie scattate personalmente da lui, che raffigurano, in modo singolare, personaggi della Napoli di quegli anni, e sempre in ambito teatrale con Giuseppe Giacosa e con attori come Ettore Petrolini e Eleonora Duse. Vaste corrispondenze sono anche in ambito politico, come quella con il ministro Luigi Federzoni, Giuseppe Bottai, Galeazzo Ciano e Italo Balbo, ma anche con politici di opposte tendenze come Giovanni Amendola e Gaetano Salvemini, con diplomatici e ambasciatori, con storici anche stranieri come il vasto carteggio con Bernard Berenson, quello con militari come Luigi Cadorna e Emanuele Filiberto di Savoia, nel cui fascicolo troviamo il racconto di Rodolfo Casaleggi sulla battaglia del Piave, a cui egli stesso partecipò, o con Vittorio Emanuele Orlando nel cui fascicolo troviamo alcuni telegrammi cifrati della I guerra mondiale. Nell'ambito industriale possiamo citare lettere con Giovanni Agnelli, Giovan Battista Pirelli e Nicola Romeo, ma molti altri filoni di studio possono essere individuati e studiati. Da segnalare inoltre le numerose fotografie presenti in tutto il Fondo, spesso utilizzate da Ojetti per i vari articoli, altre volte inviate dai corrispondenti con dedica e firma autografa, come ad esempio il foto ritratto di Margherita Sarfatti eseguito e firmato da Ghitta Carell o quello di Sibilla Aleramo scattato da Anton Giulio Bragaglia. Interessante anche la documentazione di locandine e i programmi teatrali del primo novecento, molte cartoline dell'epoca spesso fotografie, alcune con testimonianze di viaggi, e anche le intestazioni di lettere con ex libris dei vari corrispondenti.
La documentazione è costituita principalmente da lettere, minute, cartoline, telegrammi, copie di lettere dattiloscritte, biglietti da visita, appunti, estratti, relazioni, documentazione a stampa e fotografie.
Sono state individuate circa 700 corrispondenti femminili che hanno portato alla creazione delle relative schede (224 nella Serie degli artisti e 475 nella Serie dei letterati e politici), frutto del lavoro svolto da Silvia Iessi nell'ambito del progetto "La memoria restituita", nato da una iniziativa congiunta dell'Archivio di Stato di Roma e dell'Università della Sapienza volto a riscoprire la scrittura femminile attraverso l'analisi delle forme e dei contenuti della letteratura di genere.
- Ordinamento e struttura
- Il fondo è costituito da due serie di corrispondenti ordinate alfabeticamente. La prima, ordinata in 78 cartelle, contiene la corrispondenza di 1987 artisti, collezionisti e scrittori d'arte; la seconda, ordinata in 118 cartelle, contiene 4278 fascicoli contenenti corrispondenza di letterati, politici, professionisti e personaggi del mondo dello spettacolo. Il fondo conserva inoltre una raccolta di tipo antiquariale di lettere di vari artisti indirizzate a Domenico Trentacoste e sporadici fascicoli facenti parte di una raccolta denominata "Collezione d'autografi", andata venduta altrove.
- Strumenti archivistici
- Indice dei corrispondenti completo sia per la sezione "artisti" che per la sezione "letterati e politici"; schedatura analitica informatizzata ancora in corso a cura di Maria Paola Lupo, Guendalina Guadagno, Annamaria Barbaro e Clementina Conte. Successive modifiche a cura di Clementina Conte. Controllo dei dati e pubblicazione sul WEB a cura di Claudia Palma. Prima pubblicazione sul WEB anno 2004.
- Bibliografia
- Da Fattori a Casorati/ Capolavori della collezione di Ojetti, a cura di Giovanna De Lorenzi, Viareggio, Centro Matteucci 2010 Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Officina della Critica. Libri, cataloghi e carte d'archivio, Electa Milano 1991.